lunedì 24 novembre 2008

Carson McCullers, Il cuore è un cacciatore solitario

Di McCullers avevo letto solo La ballata del caffè triste, che mi era piaciuto ma non mi ha lasciato ricordi particolarmente vividi. Per cui ho cominciato Il cuore è un cacciatore solitario senza particolari aspettative, e questo forse è un bene. Mi attirava soprattutto per il meraviglioso titolo (da una poesia di Fiona McLeod, su suggerimento dell'editore). Perciò è stata una bella sorpresa trovarmi davanti a un testo così ricco e avvolgente, scritto da McCullers all'età di 23 anni. La trama: siamo nel 1938-39 in una cittadina del sud impoverita dalla crisi del '29. Il sordomuto John Singer vive una vita tranquilla e piena d'amore con un altro sordomuto, Spiros Antonapoulos. Quando quest'ultimo viene violentemente allontanato da lui, comincia a frequentate il bar di Biff Brannon, dove si ritrovano anche l'ubriacone pazzo Jake Blount e la dodicenne Mick Kelly. A casa di Mick lavora la giovane di colore Portia Copeland, il cui padre, medico lettore di Marx, Spinoza e Shakespeare, benché gravemente ammalato si dedica con tutte le sue forze alla comunità nera della città, segregata, povera e ignorante.

Questa eterogenea compagnia si raduna attorno a Singer che ben presto catalizza su di sé l'amore e il rispetto degli altri, che prendono l'abitudine di confidargli i propri sogni, scambiando il suo silenzio con la comprensione. Ognuno ha un amore mal riposto, un'illusione sconfitta in partenza, una vita storpiata che non potrà riprendersi mai. Ma spera e si agita, ha aspirazioni più alte nella miseria che lo circonda, e di cose ne succedono, nella vasta famiglia di Mick che in fondo è la protagonista e di sicuro rispecchia l'autrice, nella città che lotta per vivere, nelle vite e nelle coscienze dei vari personaggi. E Singer capisce solo il proprio amore sconfinato e insensato per Antonopoulos perduto. Un romanzo corale ricchissimo di personaggi e di temi ma estremamente coeso e soddisfacente, equilibrato nella rappresentazione dei destini individuali dei dimenticati, ma anche pieno di un senso del tempo e della Storia invidiabili.

Mi ha colpito in particolare la rappresentazione della libertà di Mick, in confronto alle paranoie dei giorni nostri. Non si può dire che l'ambiente in cui si muove sia rassicurante o troppo protettivo. Fuma, beve birra, va a spasso di notte da sola, visita uomini adulti nelle loro stanze, tratta alla pari con tutti eppure non è rappresentata come eccezione, semplicemente rispecchia un mondo diverso dal nostro.
Infine la traduzione di Irene Brin (morta nel 1969) piuttosto legnosa e grondante di fanciulli e babbi per non parlare della goffaggine con cui è tradotto il linguaggio dei personaggi di colore, avrebbe avuto bisogno di essere rivista. O almeno di dichiarare la data in cui è stata fatta, mentre manca persino quella della prima edizione italiana del romanzo.
Un romanzo vivamente consigliato a chiunque legga perché gli piacciono i bei libri.

sabato 22 novembre 2008

Ancora "Lei coltiva fiori bianchi"

Mercoledì 26 novembre 2008, alle ore 17,30 parteciperò a un incontro organizzato dalla Provincia di Torino in via Maria Vittoria 12, Sala Marmi, e dall'Associazione "La donna e l'arte", con al mio fianco la valida e stimolante presenza di Silvia Treves e Alessandro Defilippi, per chiacchierare di Lei coltiva fiori bianchi. Si parlerà anche di un altro libro, "Anna di Cipro", con l'autrice Donatella Taverna. Spero, soprattutto per i miei relatori, che il pubblico sarà folto e partecipe.

lunedì 10 novembre 2008

Un pronome neocon


Di questi tempi confusi, neobacchettoni e smandrappati, ne succedono di tutte. Una che non mi piace è il ritorno dell’orrido loro come dativo plurale, o meglio complemento di termine plurale di essi. In parole povere, con un esempio: ho detto loro di stare zitti/e è tornato in forze, dopo che l’uso l’aveva sostituito con l’assai più agile e sciolto gli ho detto di stare zitti/e. Un tempo retaggio solo delle frange meno letterate, ma proprio per questo più conservatrici e preoccupate di fare bella figura, del corpo docente, oggi fa capolino dovunque. In compenso, sui giornali ormai è prassi le ho detto di stare zitto (a Rambo) e gli ho detto di stare zitta (a Madonna). Orrore su orrore.

martedì 4 novembre 2008

Sarah Sajetti, Volevo solo un biglietto del tram

Giovedì 6 novembre alle ore 21,30, all'Extreme di via San Massimo 31, presentazione del giallo Volevo solo un biglietto del tram di Sarah Sajetti, edizioni Robin, ambientato, nell'ambito della collana I luoghi del delitto, nella Milano lesbica, che si è piazzato al 2° posto del I Premio Belgioioso Giallo. Sarà presente l'autrice che converserà con la sottoscritta. Sarah Sajetti, milanese, è stata direttrice del mensile di cultura gay e lesbica Babilonia, attualmente è caporedattrice del periodico Reallife e collabora con diverse testate. Il romanzo è un giallo frizzante e vivamente raccomandabile, reso particolarmente interessante dall'ambientazione e dalla competenza con cui Sarah Sajetti padroneggia la trama, un classico whodunnit con dei risvolti sorprendenti e rovesciamenti dei cliché di genere. Il linguaggio è vivace e inventivo, spesso divertente.
La trama: Chiara, giovane lesbica che si inventa la vita tutti i giorni ma ha anche specifiche professionalità creative, decide con l'amica Simona di girare un film sulla propria vita e le proprie catastrofi sentimentali. Proprio alla vigilia del primo ciak la protagonista, Silvia, viene trovata cadavere. A indagare sulla vicenda arriva l'affascinante commissaria Alessandra Pastore, che con l'aiuto di Chiara inizia a esplorare gli ambienti in cui si muovevano la vittima e le altre donne implicate. Il risultato è un appassionante viaggio nei sentimenti, i riti, gli svaghi, gli intrecci e le tensioni che covano nella vita lesbica milanese.
Un assaggio: Averne di idee! Ho il cervello impacchettato, non riesco a pensare assolutamente a niente e nella mia testa ci sono solo dei nomi che rimbalzano da una parte all'altra immersi nella più completa oscurità, come quando butti giù l'ultimo mattoncino dell'ultima schermata di The wall.

domenica 2 novembre 2008

King, Pamuk e un consiglio per gli acquisti

2/12/2011
Comincio dal consiglio per gli acquisti perché l'orrido natale si avvicina e bisogna pensare ai regali, crisi permettendo. Allora, per i più piccini a cui volete bene, non proprio piccolissimi ma in età possibilmente pre–giochini elettronici, sempre che esista: un meraviglioso Piccolo museo di Babalibri, opera di Alain Le Saux e Grégoire Solotareff con la collaborazione di Mantegna, Ghirlandaio, Velasquez, Bosch, Van Gogh, Ensor, Goya, ecc ecc. E' un abbecedario, da "albero" a "zuffa", composto da particolari tratti da quadri famosi e meno famosi, che visti così fuori contesto si caricano di un significato e di una poesia indescrivibili. E il genitore che troverà il tempo di sfogliarlo con la propria creatura ne trarrà a sua volta grandissimo piacere. Io l'ho trovato nel bookstore della Gam di Torino, è stato ristampato nel 2007. Vivamente, entusiasticamente consigliato per tutti.

Quanto a Stephen King, ho letto un suo libro, Duma Key, dopo moltissimi anni dal primo e ultimo letto in precedenza, Pet Sematary, che mi aveva talmente disturbata da tenermi definitivamente lontana da questo autore. Già allora, però, avevo apprezzato l'abilità di scrittura di King, capace di creare un mondo realistico, concreto e quotidiano in cui scatenare le sue fantasie orrorifiche. In quel lontano romanzo anche queste fantasie mi erano sembrate magnifiche nel loro genere, solo che evidentemente toccavano dei punti per me troppo sensibili. In Duma Key ho ritrovato, ancora di più di quanto mi ricordassi, una grandissima capacità di scrittura, un'abilità di creare un ambiente e un'atmosfera veramente fuori dal comune. La prima parte mi ha preso senza riserve. Il protagonista, Edgar Freemantle, ricco costruttore, ha un incidente gravissimo in cui tutta la parte destra del suo corpo rimane menomata, gli viene anche amputato il braccio destro. In seguito anche il suo matrimonio si spezza, e lui si trasferisce in un'isola della Florida, Duma Key appunto, dove cerca di rimettersi insieme dedicandosi alla pittura. Proprio dipingendo comincia a sentire le prime inquietudini, soprattutto la presenza di un fantasma del braccio mancante che pare dotato di vita propria... Non vado avanti nel racconto della trama, dico solo che è fantastica la bravura di King nel comunicare la condizione di un uomo menomato che faticosamente si adatta alla nuova vita e insieme vede crescere il suo, fino a quel momento insospettato, talento di pittore. Quando poi l'aspetto horror prende il sopravvento confesso che mi sono anche un po' annoiata, a parte un po' di tensione non mi ha né sorpresa né coinvolta. Comunque nell'insieme è uno di quei libri che non si riescono a mettere giù, so di non dire niente di nuovo ma confermo l'opinione di chi afferma che King è uno scrittore notevole. Forse è anche uno scrittore che avendo avuto un successo stratosferico con l'horror ha dovuto continuare su quella strada, e probabilmente non è facile trovare tutte le volte una paura più paurosa di quella precedente.

Di Orhan Pamuk, uno dei miei grandi amori letterari, ho letto ultimamente La nuova vita, un libro del 1994, uscito da Einaudi nel 2000. Dirò subito che non ho capito di che cosa parlava, a parte il fatto che il nucleo è lo stesso di tutte le opere di Pamuk che ho letto, il contrasto tra tradizione e modernità, oriente e occidente, oscurantismo e idealismo, nostalgia e speranza. Insomma: c'è un libro così sconvolgente che basta leggerlo per rinnegare la propria vita e desiderare solo di fuggire. Lo studente universitario Osman lo legge e contemporaneamente si innamora della bella Canan, e come conseguenza abbandona gli studi e la madre vedova per seguire Canan, che non lo ricambia, alla ricerca degli autori di un complotto contro il libro, in realtà sulle tracce di Mehmet di cui la ragazza è innamorata... Non posso dire che man mano che la trama si svolge abbia capito molto di più. Ma posso invece dire che non me ne è importato granché, tanto il fascino della scrittura di Pamuk mi ha presa. I viaggi notturni in autobus per le strade dell'Anatolia centrale, le stazioni di rifornimento e i loro tristi clienti, le stanze degli alberghi solitari, gli incidenti, la pioggia, il buio, gli schermi baluginanti che trasmettono sempre sparatorie e inseguimenti, sono una musica di cui non capivo le parole (ma invece proprio le parole mi hanno incantata!) ma che non mi stanca mai. Oltretutto in molti dei luoghi attraversati da Osman e Canan sono stata quest'estate, e invece in altri viaggi ho preso quegli stessi autobus notturni che secondo Pamuk hanno continui, sanguinosi incidenti, con decine di vittime. Pamuk ha il dono della nostalgia, della tristezza lancinante che prende nelle sere di pioggia d'autunno, in città. Esattamente come questa sera lì fuori dalle mie finestre, solo che lui ha le parole più precise, struggenti e preziose che esistano per descriverla e farla diventare un piacere.