lunedì 21 novembre 2011

Leggere per vivere: La mia storia di lettrice, seconda puntata.

Dei libri infantili che ho amato appassionatamente ricordo non solo le parole ma anche le illustrazioni. La serie meravigliosa di Karin Michaelis, Bibi, una bimba del Nord, che aveva i disegni più belli che abbia mai visto. Le storie di Bibi la seguono da quando ha sei, sette anni fino ai primi turbamenti dell’adolescenza, insieme alle congiurate, le sue amiche del cuore, Ulla, Anna Carlotta, Astrid e Valborga. Ho ancora in mente le fisionomie delle cinque ragazzine, e saprei descriverne difetti e qualità nel dettaglio, nonché le famiglie di provenienza: Bibi nata da una mésalliance, un matrimonio d’amore tra un capostazione e una giovane aristocratica morta troppo presto, Ulla (con cui Bibi si scambia il nome) e Astrid (invidiosa, falsa, intrigante) borghesi, Anna Carlotta viziatissima, scaltra e fintamente fragile figlia di un pastore protestante, Valborga intelligentissima e piena di risorse, proveniente da una famiglia proletaria, con un nugolo di fratellini minori e una madre sempre ammalata. Questa serie oggi sarebbe improponibile tanto Bibi è libera, priva di paure e paranoie, sempre pronta a partire da sola (come figlia di ferroviere può prendere qualsiasi treno gratis) e ficcarsi in situazioni pericolose come farsi ospitare da un gruppo di zingari nel loro carrozzone. Nessun genitore contemporaneo, iperprotettivo e ansioso, metterebbe in mano ai figli dei libri così, li considererebbe antieducativi. Per me sono stati sorsate di libertà e curiosità. Quando molti anni dopo sono stata a Praga, per esempio, la prima cosa che ho cercato è l’orologio della torre che avevo visto in un disegno precisissimo del volume Bibi e il suo grande viaggio. A Bibi devo anche molti pensieri dedicati a un incontro di sostantivo e aggettivo che mi ha colpito perché non lo capivo bene: una dolce camicetta azzurra. Mi sono interrogata a lungo come una camicetta potesse essere dolce. E ricordo la delusione quando è uscito un volume scritto dalla traduttrice, Emilia Villoresi, in cui Bibi veniva ricondotta alla normalità facendone un’infermiera che si innamorava di un medico italiano. Ricordo ancora le parole della quarta di copertina: Bibi diventa una splendida sposa italiana. Ma va’ là, Bibi continua a aggirarsi per l’Europa con il suo amico Ole, quello che da bambino è caduto nella fossa del padre al cimitero, con la cicogna Jensen, il suo berrettino rosso, gli occhi azzurri, le trecce biondissime e le gambe lunghe con le calze alla scagassa.
Altro scrigno di meraviglie senza fine l’enciclopedia Il tesoro del ragazzo italiano, in un’edizione di prima della seconda guerra mondiale. Otto o nove volumoni rilegati in rosso che estraevo a turno dalla libreria per portarmeli in camera, sul letto. Ancora ho l’abitudine di leggere sdraiata sul letto, il pomeriggio. C’era un po’ di tutto ma io leggevo soprattutto la sezione delle fiabe di tutto il mondo, corredate da illustrazioni di artisti magnifici. Uno, di cui ricordo le fiabe greche e quelle nordiche, faceva figure dalle linee dolci e colori netti, semplici e accattivanti. Ricordo ad esempio, una fiaba dell’Epiro in cui c’era una ragazza con un costume fantastico, trecce nere e lunga palandrana, in cui c’entrava un gallo; o gli alberi azzurri con frutti rotondi nelle fiabe provenienti dalla Finlandia. Ma il più magico era l’illustratore delle fiabe orientali che innalzava architetture tutte torri, pinnacoli, altane, balconi, tanto complesse da sovrastare con la loro incredibile ricchezza persino le vicende delle principesse di Baghdad e i tappeti volanti. Nel Tesoro c’erano anche riassunti di opere teatrali (mi sono rimasti indelebili nella memoria l’Aio nell’imbarazzo e La vita è un sogno) o episodi della vita di personaggi famosi, come il piccolo Mozart che suona davanti alla futura Maria Teresa d’Austria e Ludovico Muratori, pastorello avido di cultura che ascolta fuori dalla finestra le lezioni impartite a nobili infanti. E poi la sezione dei giochi scientifici, che non provavo mai a riprodurre, ma ancora mi rimane la curiosità di controllare se è vero che il vetro può essere tagliato con le forbici sott’acqua. Fantastica miniera questo tesoro, che trattava anche storia e geografia con taglio decisamente fascista, ma alla mia fantasia evasiva e poco portata a interrogarmi sulle questioni reali, d’altronde avevo meno di dieci anni, inarrivabile e indimenticabile.
Poi ci sarebbero decine di altri libri da ricordare, come la serie dei Ragazzi della valle perduta, tre volumi noiosi che ricreano la storia dell’umanità partendo dalla vicenda di due cugini rimasti intrappolati in una valle alpina in cui si erano recati con la nonna per cercare funghi. Una frana li isola dalla civiltà e quelli ripartono dalla caverna, poi si fanno una casa sulle palafitte, infine una casa di pietra. Si accoppiano, hanno dei figli, trovano l’oro (la parte più incomprensibile, per me: dopo avere sempre vissuto in pace e concordia l’oro li divide rendendoli nemici) e alla fine, non ricordo più per quale disastro naturale, ritrovano la via per tornare tra gli uomini. Ho detto noiosi ma forse intendevo solo pesanti, anche questi volumi li ho letti e riletti, magari con più fatica ma con lo stesso piacere di altri più facili. Anzi, qui devo confessare che ho sempre apprezzato i libri che non capivo fino in fondo: mi costringevano a pensare, a interrogarmi sulle parole che mi risultavano oscure, e mi spingevano a fantasticare a lungo. In questo senso basilare per me è stato Amei, una bimba, di Ruth Schaumann, pieno di enigmi e immagini che mi sono rimaste indelebilmente in un angolo del cervello, e solo rileggendolo da adulta ho capito perché: è un libro scritto benissimo, molto difficile, un libro che non considera i bambini piccole bocche da nutrire a bocconcini, ma persone in grado di intuire emozioni grandi come la vita. La frase che ricordavo meglio, “com’è duro questo scopettino!” si riferiva proprio alla capacità di provare dolore anche delle creature più piccole, come le mosche e i bambini. Altra frase indimenticabile, “raccogli un mazzolino di venti violette e cinque foglie verdi”, mi sembrava l’equivalente delle fatiche di Ercole, un’impresa quasi impossibile: come si fa un mazzo con sole venti violette? Ci ho provato tante volte, lo giuro, non ci riuscirebbe nessuno. E ancora, la mosca che scivola sui lucidi capelli neri di una zia così povera che nella dispensa ha solo una fetta di salame e un uovo che sacrifica per Amei, che detesta l’uovo sbattuto… insomma un tipo di nutrimento per il cervello che mi ha aiutata a crescere, lo giuro.

2 commenti:

Massimo Citi ha detto...

Anche a me sarebbe piaciuto ricostruire il mio antico amore per i libri, ma mi è impossibile, ho perduto buona parte dei miei vecchi libri nei tanti traslochi da una città all'altra. Così mi accontento - e sono contento così - di leggere i tuoi ricordi. Un abbraccio.

consolata ha detto...

Il bello è che anch'io li ho persi, perché sono rimasti nella casa di cui mio fratello si è appropriato. Ma vivono immortali nella mia memoria e ti assicuro che quando ne trovo uno su qualche bancarella, è una vera emozione. Se vuoi ti ci faccio fare un giro... :-)