giovedì 1 dicembre 2011

Leggere per vivere. La mia storia di lettrice, sesta puntata


La mia adolescenza è stata abitata soprattutto dai grandi romanzi dell’Ottocento. Di Balzac, Stendhal e Flaubert ho già detto; ma ci furono anche Thomas Mann con i Buddenbrok, Eça de Queiroz, Daudet, Jane Austen, Charlotte Brontë, Federico De Roberto, Selma Lagerlof, e molti altri. Romanzi per signorine solo quando non potevo chiedere a mio padre di pescare nella sua biblioteca, al mare o in campagna, dove i libri disponibili non erano molti e sceglievo tra quello che c’era. Così lessi un Delly, Tra due anime, che mi guarì da qualsiasi curiosità in quella direzione, e anche un bel numero di romanzetti francesi pruriginosi che stavano nello scaffale della nostra casa al mare, di autori come Gyp (Autour du mariage, Le vieux marcheur) di cui capivo poco ma mi stuzzicavano perché ne intuivo il sottofondo proibito. L’alternativa, ma neanche su quella ho sputato, erano una vita di Sant’Ignazio di Loyola e i Cento modi di cuocere le verdure. La cosa importante era avere sempre un libro tra le mani: di giorno e di sera, lavandomi i denti e facendo pipì, prima di cena e anche durante, mentre mia madre mi ripeteva accorata: non si legge a tavola. In effetti, ero ben maleducata a pensarci. Poi venne l’epoca in cui mio padre mi avvicinò a letture più attuali, Italo Svevo, Kafka, Sologub, Solokov, Hans Fallada, Wiechert. La meravigliosa Medusa degli Italiani, con le sue sobrie copertine e le storie succulente nascoste tra le pagine. Qualche italiano minore, Michele Prisco, Carlo Alianello, Neri Tanfucio, Corrado Alvaro, Ignazio Silone, Francesco Iovine. In un noiosissimo inverno passato a Torino a casa di mia nonna, facevo la prima media per cui avevo solo dieci anni perché ero un anno avanti, Woodhouse e Jerome K. Jerome.
Rileggendo alcuni di questi da grande, ho avuto sorprese a volte davvero sconcertanti. Per esempio con La Certosa di Parma, che avevo molto amato, non sono riuscita più a entrare in sintonia. Ho capito benissimo perché mi aveva colpito tanto, Fabrizio del Dongo mi è parso un eroe adattissimo alle inquietudini dell’adolescenza, ma ho trovato il suo amore per Clelia pieno di un’esaltazione infantile, grottesco l’escamotage di frequentarsi a luci spente, insomma, al di là dell’ammirazione per l’opera, non ci sono più cascata dentro come da ragazzina. Per fare altri nomi, di J. K. Jerome ho trovato insopportabile il nazionalismo, di Alianello ( Il mago deluso) la fissazione sessuale da repressione, tutti aspetti che alla prima lettura mi erano completamente sfuggiti. Altri invece non solo hanno superato la seconda lettura ma si sono arricchiti seducendomi ancora di più, come Orgoglio e pregiudizio, Davide Copperfield, Jane Eyre, I Viceré. Se questa vita tanto breve me lo permettesse, mi piacerebbe rileggere tutti i libri che come aurei mattoni hanno contribuito a costruire la mia visione del mondo, non per distruggere miti ma per trarne quello che non ero in grado di capire quando li ho incontrati.

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