martedì 10 gennaio 2012

Guancette rosse - Divagazioni sul quadro "Venditrice di gamberetti" di William Hogarth

GUANCETTE ROSSE
Divagazione sul quadro “Venditrice di gamberetti”
di William Hogarth

Se è novembre, si hanno diciott’anni, i piedi nudi, un vento gelato spinge il nevischio quasi in orizzontale, non c’è niente di insolito nel fatto che le guance siano di un bel rosso acceso. E neanche nell’accettare di passare un’oretta al caldo, davanti a un fuoco ruggente e a un tipo che maneggia il carboncino su un foglio bianco, in cambio di una moneta lucida. Se poi ci scappa anche una coscia di pollo freddo, una fetta di pasticcio di lepre, un bicchiere di chiaretto, due mele da ficcarsi in tasca, che sarà mai un bacio su quelle stesse guance, sempre più rosse per l’effetto delle fiamme e del vino?
Così fu che Mary Stapleton, venditrice di gamberetti, venne immortalata in un quadro appeso ancora oggi su una parete della National Gallery di Londra. Ride e tiene un cesto di gamberetti sulla testa. Non si può restare indifferenti alle sue guance vermiglie. Ma il suo nome, nessuno lo conosce.
Mary uscì dallo studio del pittore in preda all'euforia. Giusto quella mattina le sue scarpe avevano rinunciato alla lotta per la vita, le tomaie si erano staccate del tutto dalla suola, e il ciabattino aveva dichiarato che ripararle era impossibile.
“Dove potrei far passare il filo, secondo te? Sarebbe più facile cucire l’aria”.
La moneta, calda per essere stata nascosta nel seno di Mary, si trasformò in un paio di stivaletti scricchiolanti, odorosi di cuoio fresco, con un rinforzo di ferro sotto ai tacchi e alle punte, che facevano venir voglia di ballare sul selciato per il puro piacere di sentire quel ticchettio che voleva dire Ho guadagnato una moneta tutta per me, da spendere come volevo, senza che mia madre ci mettesse le mani sopra.
Ma siccome Mary aveva una coscienza professionale, prima di tornare a casa si impegnò a vendere tutto il  contenuto della cesta.
Ormai a collegare Mary  al suo ritratto, destinato a diventare così famoso, c’era solo quel paio di stivaletti. Mentre il quadro veniva completato – dal foglio alla tela, dall’abbozzo ai colori, alle ombre, allo sfondo, al luccichio dei dentini bianchi nella risata monella, al perfetto rosso mela autunnale delle guance – gli stivaletti si consumavano. Molto più lentamente, perché il cuoio era ben conciato, i legacci robusti come cime, il passo di Mary leggero e danzante. Eppure, prima o poi gli stivaletti finirono nella spazzatura, mentre guance denti capelli occhi neri di Mary sono ancora lì, in una bella cornice dorata, su una parete di damasco rosso, tutti quelli che la vedono dicono “Oh! ma che carina!” e magari pensano, Peccato che non ci siamo incontrati prima.
Mary però, ben calzata e allegra, continuò a vendere gamberetti per le strade di Londra.
“Ehi, ehi,” gridava nelle strade fangose, nella nebbia invernale, “sono freschi come rose, profumati come dame, dolci come ciliege! Rossi come ciliege! Un mangiare da re!”
Le cuoche uscivano dalle case per comprare la sua merce perché la conoscevano e sapevano che era buona. Aveva diciott’anni, non si stancava a camminare e gridare. Aveva i piedi ben caldi negli stivaletti nuovi.
Quando il quadro fu esposto all’Accademia, ebbe un grande successo. Un paio di volte, una coppia elegante fermò Mary per strada e le chiese se aveva posato per un ritratto. Un cavaliere impellicciato le diede persino un’altra moneta e un buffetto sulle guance rosse. Era una piccola moneta. Lei si comprò una pinta di birra e pesce fritto.
Poi successe che le guance di Mary cominciarono a sbiadirsi, il sorriso a farsi tirato. Passò tre mesi a letto con la polmonite. Guarì, ma era dimagrita, la sua voce non era più così squillante né il passo tanto lieve. Sua mamma la sgridava, perché vendeva meno. Mary pensò che era ora di  trovare qualcuno che si prendesse cura di lei.
In autunno si sposò con un barcaiolo di vent’anni, biondo e robusto, che conosceva da quando era bambina. Le piaceva moltissimo vederlo impallidire di desiderio quando si toglieva la gonna, la giacca, e rimaneva in camicia alla luce barcollante del focolare. Le piaceva essere abbracciata e baciata. Presto tornò ad avere le guance rosse e paffute. Thomas gliele pizzicava volentieri. Mary riuscì a mettere un banco al mercato di Billingsgate, così non doveva più correre per le strade né consumare troppo i bei stivaletti, ora non più tanto nuovi.
Ebbe un figlio, due, tre, quattro, praticamente partoriti dietro al banco,  tra l‘odore del pesce e il fango viscido di lische e scaglie. A ogni bambino la sua vita si allargava e le guance diventavano più tonde. Quando sua madre morì dovette rinunciare al banco per stare dietro ai figli.
Riprese i giri con il canestro sulla testa. Gridava ancora più di quando era ragazza.
“Ehi, ehi, i bei pesci freschi! Son freschi come rose, croccanti come il croccante, profumano di mare, sono argento vivo, sono oro fuso, sono corallo del sud! Son uova di giornata!”
Gli stivaletti erano passati alla figlia maggiore, i rinforzi di ferro erano stati cambiati più volte. Thomas gliene regalò un paio ancora più belli.
Una volta, facendo una consegna in una casa di clienti abituali, dovette passare dall’entrata principale perché quella di servizio – nel seminterrato – era allagata. Attraversò un atrio grandioso senza osare alzare il capo. Ma uscendo, con il canestro vuoto sotto il braccio, si guardò intorno e lì, sul camino, le sorrise il suo ritratto, guance rosse e denti di perla. Si fermò di botto. La compassata cameriera, veste di seta grigia e grembiulino di pizzo, che l’accompagnava all'uscita, si fermò anche lei, seccata.
“Adesso che c’è? I soldi non sono giusti?”
“Guardi, guardi! Quella sono io!”
“Ma cosa dice! Quello è un quadro”.
“Sì, ma nel quadro ci sono io. Guardi un po’".
Si mise davanti al camino, nella stessa posizione del ritratto,  il viso voltato verso destra, la bocca spalancata a ridere di essere viva. Le mancavano quattro denti davanti. Le guance, a onor del vero, erano rubizze, coperte di piccole vene a fior di pelle. La cameriera le diede uno spintone.
“Vada via, per favore. Non sta bene se qualcuno la vede qui”.
Mary guardò il quadro, guardò la cameriera, guardò la propria immagine riflessa in un grande specchio dorato su un tavolino carico di fiori di serra.
“Eppure, le assicuro, sono io,” disse uscendo.
“Si ricordi i granchi per domani,” le gridò la cuoca facendo capolino da una finestra.
Il giorno dopo Mary portò con sé la figlia, nella speranza che l’entrata di servizio fosse ancora allagata. Ma tutto era normale, solo un po’ di fanghiglia sui gradini  rischiò di farla scivolare.
Tornando a casa, Mary ripeté la storia che Louise conosceva a memoria.
“E così, mi sono comprata gli stivaletti che hai portato anche tu”.
Louise si toccò le guance rosse, evitò una pozzanghera, storse il naso all’odore di mare che emanava dalle gonne della madre. Saprò usare meglio la freschezza delle mie guance, pensò. Se un pittore mi chiede di posare per lui, non mi accontenterò di una moneta. Se il ritratto di mia madre sta sul caminetto di una casa di signori, io voglio stare seduta davanti a quel caminetto, mangiare pane e burro con i piedi sugli alari, bere sherry vecchio in un bicchiere di cristallo che riflette le fiamme. Altro che stivaletti con rinforzi di ferro. Avrò scarpine di raso. Avrò una pelliccia di volpe e cento vestiti di velluto. Avrò carrozze e cavalli, piatti di porcellana, una cameriera che mi pettina. Avrò un materasso di piume...
Sorrise a un gentiluomo che si scostava per lasciarle il passo sul marciapiede. Quando si volse a guardarlo, si accorse che anche lui si era voltato. 
Se è novembre, si hanno diciott’anni, le guance splendenti, un cesto di gamberi sulla testa, scarpe vecchie ai piedi, il vento gelato spinge il nevischio quasi in orizzontale, non c’è niente di strano ad accettare di  prendere un bicchiere di vino davanti al fuoco. Non si avrà il proprio ritratto appeso sulle pareti di damasco della National Gallery, duecentosettant’anni dopo. Ma il vino scalda, le fiamme infiammano, le carezze consolano e tengono lontano il freddo e il buio. Le guance si arrossano anche per questi motivi, non solo per il gelo. Louise scelse il caldo, inconsapevole come sua madre quando aveva scelto l’anonimato dell'immortalità.