giovedì 26 gennaio 2012

Russel Hoban, Il topo e suo figlio

Il gesto gentile di un amico artista mi ha fatto conoscere questa favola noir. E' stata una felicissima scoperta, un lungo racconto fantasioso e crudele che ho letto con molto piacere e profitto. Protagonista un giocattolo meccanico di una volta, di quelli che si caricano con una chiavetta a molla: due topi di latta, un padre che gira in tondo tenendo il figlio a braccia tese. Dopo i primi tempi trascorsi nel mondo sereno e circoscritto del negozio di giocattoli che loro credono eterno, passano attraverso una serie infinita di avventure: dalla casa con bambini da cui sono banditi quando si rompono alla città della spazzatura dove i ratti sono padroni, dal fondo della palude dove il tempo è immobile alla casa delle bambole sul palo, incontrando personaggi fantastici, il vagabondo, il Ratto Manny, il Ranocchio indovino, la compagnia di animali commedianti, il Corvo, la testuggine guru, il tarabuso e il martin pescatore, la foca e l'elefantessa e mille altri, sempre alla ricerca del mondo perduto e dell'unica cosa che li può rendere veramente liberi: l'autocaricamento. Ognuno dei personaggi cambia, si trasforma, tocca il fondo e si risolleva, è perfido e si riscatta, è distrutto e risorge, e proprio questa continua possibilità di rinascita permette al finale di aprirsi alla serenità immettendo luce e colore nell'atmosfera cupa che avvolge tutta la storia. Russell Hoban esplora il mondo dei giocattoli perduti, dei piccoli animali, un mondo scivolosissimo per uno scrittore, senza mai mettere un piede in fallo, come se non sapesse nemmeno che al mondo esistono la melensosità, il sentimentalismo, il bamboleggiamento, il patetico. Preciso e spietato, ironico senza compiacersene, muove i suoi automi di latta e le sue bestiole in un ambiente agreste che ha la stessa asprezza dei bassifondi metropolitani di Dickens. Non conoscevo per niente Russel Hoban, americano trapiantato in Inghilterra, nato nel 1925 e morto proprio prima del Natale scorso. La prima edizione di Il topo e suo figlio è del 1967, in italiano è stato pubblicato da Adelphi nel 1984 con la traduzione di Adriana Motti. Ha scritto molto per bambini più piccoli. Dalla serie di libri con protagonista la bambina Frances è tratta questa sua filastrocca. Mi è piaciuta talmente che non resisto a metterla qui.
 Frances did not eat her egg.
   She sang a little song to it.
   She sang the song very softly:
   I do not like the way you slide,
   I do not like your soft inside,
   I do not like you lots of ways,
   And I could do for many days
   Without eggs.
(trad.mia, non garantisco: Frances non mangiò il suo uovo./ Gli cantò una canzoncina./ Gliela cantò sottovoce:/ Non mi piace come scivoli,/ Non mi piace come sei molle dentro,/ Non mi piaci in tanti modi, /E potrei stare molti giorni/ senza uova).  
Devo aggiungere che Il topo e suo figlio, oltre a appassionarmi, mi ha fatto riflettere un po'. Ci sono in giro valanghe di libri per bambini, colorati e ottimisti, calibrati per età come un cursus scolastico, molto attenti a indirizzare i piccoli lettori nei giusti binari del politicamente corretto, del rispetto dell'ambiente, del terzomondismo caritatevole, ecc ecc. Questo libro fortunatamente non non se ne preoccupa affatto. Certo piace agli adulti e non è proprio pensato per piccini col bavaglino. Ma sono sicura che qualsiasi bambino, se gli venisse letto da una voce amica, lo apprezzerebbe moltissimo. Ai bambini piace che i loro eroi vengano strapazzati per bene, e questi ne passano veramente di tutti i colori.
Con i topi poi ho un debito, la primissima cosa che ho pubblicato è un racconto, Per amore di un topo, su una donna che ha una rovente storia con un topo. Nella realtà non vorrei mai averne uno come coinquilino, anche se quando ero ragazzina ce n'era uno che divideva la mia camera da letto, e regolarmente la attraversava, si fermava al centro e squittiva. Facevo un sacco di scene ogni volta e le farei ancora, ma posso dire che non mi ha fatto male allora né adesso.

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