venerdì 27 aprile 2012

QUATTI QUATTI, O CON FRAGORE - Gente che scappa di casa e non torna più



Giovanni, perché pioveva.

Clelia e Giovanni, giovani sposi di buone possibilità economiche, abitavano in una cascina ristrutturata in collina, a dieci minuti di macchina dal centro. Clelia aveva voluto le pareti della camera da letto di un tenerissimo rosa carne. Nell'ex tinaia avevano messo un grande tavolo di legno, una credenza liberty con una collezione di piatti spaiati, mazzi di ortensie secche, un braciere cinese di bronzo e un forno a legna.
"Soprattutto, niente barbecue", aveva detto Clelia, recisa.
"Barbecue, per la carità!" le aveva fatto eco Giovanni. Ridendo, si erano versati un bicchiere di Ferrari e avevano brindato alla loro nuova casa. Alla felicità coniugale, anche, naturalmente.   
Clelia era fotografa, Giovanni copywriter in una società pubblicitaria. Sulla casa ristrutturata splendeva sempre il sole, gli amici accorrevano numerosi nei fine settimana ad assistere alla gioiosa e giocosa convivenza. A Clelia piaceva civettare, a Giovanni corteggiare. Lei amava gli abitini sottoveste di seta impalpabile, lui i jeans strizzapalle con camicie Oxford buttondown.
Una sera di ottobre ci fu un temporale tremendo. Per una settimana dopo piovve a dirotto, il fiume, giù in basso, straripò, crollarono case in tutta la regione, paesi interi rimasero isolati, mucche gonfie galleggiavano sull'acqua e bambini arrampicati sugli alberi venivano strappati via dalla corrente. I morti furono centinaia.
Il tetto della cascina ristrutturata era solido, ma il vento strappò via qualche tegola. Il tenero rosa carne della camera da letto fu macchiato da lunghe colate marroni.
"Porcamianonna!" gridò Giovanni. "In questa casa non si può vivere. Te l'avevo detto io che non ha senso stare fuori città. La gente normale abita nel centro storico.  Fanculo te e il tuo stupido barbecue".
Prese le chiavi della Thema e sgommò via tra schizzi di fango.
Clelia si versò una vodka lemon e guardò fuori dai vetri rigati di pioggia.  
"Barbecue?" rifletté. "Va be' che è molto sdato, non è trendy, ma a me piacciono da matti le salcicce ben bruciate e i pomodori arrosto. Ci penserò".

Luigi, per amore.

Ogni volta che usciva dal portone e attraversava la strada per raggiungere la fermata del 61, Luigi, anche se era in ritardo, perdeva qualche minuto a guardare nella vetrina dei sarti. Dentro c'erano due uomini tra la mezza età e la vecchiaia, con la bocca piena di spilli, le mani di gessetti e forbici, gli occhi di vuoto. Quando tornava dall'ufficio erano ancora lì. Quando andava al cinema con Amalia, al secondo spettacolo, erano ancora lì. Quando tornava, non c'erano più.
"Ma non avranno una casa?" diceva Amalia. "Niente moglie, né figli o nipoti? Niente gatti? Piante da bagnare? Sapranno che esiste la televisione? Quasi quasi domani glielo chiedo".
"Se lo fai ti picchio. Guai a te se spingi quella porta".
"Basta aspettare la primavera, che la tengono aperta. Ci sarebbe la tua giacca di tweed verde, ti ha sempre fatto difetto sulla spalla..."
Era una sartoria da uomo. Veramente era un bugigattolo, arredato con un manichino coperto di mezze giacche e brani di cappotti, la macchina da cucire, due sedie e un tavolo non più grande di un banco di scuola. Le pareti erano gialline, dal soffitto pendeva una lampadina senza paralume, però da cento watt. I due sarti non si parlavano mai, ma lavoravano in continuazione.
C'era una cosa che Luigi non capiva. In sette anni che abitava di fronte alla bottega, non vi aveva visto un cliente.
Un sabato mattina che faceva la spesa, interrogò il macellaio di fianco. 
"Lei si serve alla sartoria qui vicino? Sono bravi?"
"Quale sartoria?"
"Quella tra l'antiquario e il bar Castello".
"Sa che non l'ho notata? Non esco mai di bottega, quando chiudo sono di fretta".
I figli di Luigi, Marcella e Vittorio, portavano solo giubbotti, jeans, minigonne e T-shirt che appena si scucivano erano da buttare. Amalia, impiegata al Comune, cucinava scatolette e surgelati dal lunedì al venerdì, lasagne al forno e melanzane alla parmigiana. Gli avanzi li dava al gatto. Non le piaceva tanto scopare, ma si sforzava di gemere e muovere le anche per fare contento Luigi. Nello stesso tempo, faceva attenzione che i ragazzi non sentissero suoni strani provenire dalla stanza da letto.
Una sera Luigi non tornò a casa dal lavoro. Verso le nove, quando già la famiglia agitatissima aveva interpellato ospedali e carabinieri, telefonò da una cabina. Si sentiva il traffico in sottofondo.
"Chiamami tua madre," disse a Marcella che rispose con il fiato corto.
"Luigi, dove sei? Cazzo ti è successo? Sono fuori di me dall'ansia".
"Sto benissimo, non ti preoccupare. Non tornerò più a casa. Ho un'altra donna, vado a vivere con lei. Ti farò telefonare dal mio avvocato".
"LUIGI!!!"
Luigi si era innamorato della cassiera del bar Castello. Si trasferirono in un'altra città, dove c'era una filiale della ditta in cui lui lavorava. Lei, che aveva un po' di soldi, aprì un'erboristeria. Due anni dopo ebbero una bambina che chiamarono Veronica. La separazione, e poi il divorzio, gli costarono un sacco di soldi.
I sarti non c'entrano niente, ma erano lì a lavorare prima, durante e dopo il misfatto. Se è per quello, sono ancora lì.

Mario e Benedetta, contemporaneamente.

Mario insegna fisica all'università e vuole molto bene a Benedetta, dietologa d'ospedale. Hanno un figlio solo, Giorgio, che sta facendo un master in economia all'MIT e vive con una ragazza cambogiana, ex profuga e brillante analista di mercato.
Ora, Mario ha una profonda crisi esistenziale. Scopre, lui marxista positivista materialista da sempre, che le convinzioni che hanno sorretto tutta la sua vita non gli bastano più. Di nascosto comincia a frequentare un gruppo di meditazione di cristiani sconcertati, un po' buddisti, un po' mistici, un po' bahai, un po' arancioni. È molto gratificato dal fatto che la sua formazione scientifica gli dà autorità. A ogni questione teorica viene interpellato. A lui piace dire che non ha risposte, invece ne ha sempre una pronta.
Benedetta non vuole tanto bene a Mario. Gli serba rancore per la freddezza sessuale, per la spocchia maschile, per le garbate prepotenze della vita coniugale. Comunque, è suo marito. Però c'è una sua collega giovane, o almeno abbastanza giovane, che le si appoggia in tutto, la cerca, la corteggia. Perché no? Benedetta sperimenta un rapporto omosessuale. La scoperta la sconvolge. Forse tutta la vita ha desiderato proprio questo, e adesso non vuole rinunciarci.
Mario decide che ha bisogno di un periodo di ritiro nella casa centrale della setta, in Himachal Pradesh, India del nord.
Benedetta decide di andare a vivere con l'amica, nel suo grazioso appartamento di semiperiferia.
Mario non vuole far del male alla moglie.
Benedetta non sa come dirlo al marito.
Mario dà le dimissioni, mette a posto tutti i suoi affari, versa un sacco di soldi sul conto comune. Torna a casa a metà pomeriggio, fa i bagagli, manda un'email alla moglie. "Dillo tu a Giorgio, vi voglio bene," è l'ultima frase. Se ne va stringendo passaporto e biglietto d'aereo tra le mani sudate.
Benedetta torna a casa poco dopo. Non entra nello studio, fa i bagagli con cura, bagna le piante, butta via gli avanzi del frigo, lava la vasca da bagno e fa una lavatrice con le lenzuola del letto coniugale. Lascia un foglio in bella vista sul tavolo di cucina. "Dillo tu a Giorgio, non tornerò," è l'ultima frase. Uscendo, non dimentica di inserire il sistema d'allarme.
Nell'appartamento abbandonato il computer acceso ronza dolcemente, lo schermo ormai nero per il risparmio energetico. Le piante dopo qualche giorno penzolano assetate, il biglietto in cucina si copre di polvere. Le tarme svolazzano, gli scarafaggi escono da sotto al lavello, il frigo puzza. Ogni tanto il telefono squilla. La segreteria risponde cortesemente: "Non siamo in casa, ma se volete lasciare un messaggio, vi richiameremo. Parlate dopo il segnale acustico. Grazie!"

 Camilla, per distrazione.

Una mattina Camilla, moglie di un politico affluente e telegenico, uscì di casa per andare dal pedicure. Al ritorno si accorse che aveva dimenticato le chiavi.
"Guardi che io ne ho una copia," disse la portinaia, solerte.
"Scherza?" rispose Camilla.
Mollò la spesa davanti alla porta, e sparì. Fortunatamente si era ricordata di prendere la carta di credito e il libretto degli assegni.

Stefano e Silvia, insieme, felici.

Un matrimonio d'amore come quello di Stefano e Silvia non s'era mai visto. Belli, giovani, sensuali e fortunati, scopavano come ricci dalla mattina alla sera nei giorni di festa e dalla sera alla mattina durante la settimana. Stefano, idraulico, guadagnava bene, e Silvia, estetista, non era da meno. Quando giunse il primo figlio ebbero un premio dalla Nestlé per il neonato più bello e grosso dell'anno. Lo chiamarono Kim. La seconda, Giada, fu esibita alla trasmissione televisiva "Cuccioli allo sbaraglio", ma non passò la prima selezione. Dalla rabbia, Silvia fece causa a Mediaset, e la vinse, dimostrando che quel giorno Giada aveva il raffreddore. Nacque ancora un terzo figlio, Oronzo come il nonno paterno, affettuosamente detto, in famiglia, Zorro dai genitori e Stronzo dai fratelli.
Stefano e Silvia continuavano a scopare, con qualche precauzione in più. Tre figli erano tanti da allevare. Crescendo, i bambini dettero qualche problema. Giada, figlia mezzana, soffriva di enuresi notturna. Kim rubava tutto quello che gli capitava a tiro, dalle merendine dei compagni ai soldi nella borsa della madre. Zorro picchiava gli amichetti all'asilo e toccava le bambine in punti delicati. I genitori, incolti ma informati, consultarono psicologi, assistenti sociali, maghi e santoni, ottennero un'udienza privata dal papa per fare benedire i figli, tentarono un esorcismo con un monsignore africano, parteciparono a "La vita in diretta" per narrare la propria odissea. Niente da fare. Raggiunta l'adolescenza, Kim si drogava, Giada si prostituiva e Zorro frequentava un vecchio pedofilo affettuoso.
Stefano e Silvia si erano conservati giovani, malgrado le traversie. Continuavano a guadagnare bene. Amavano i figli, ma avevano voglia di scopare in pace senza doversi interrompere continuamente per correre in questura o alle Molinette a ricuperare l'uno o l'altro. 
La sera in cui Zorro compì quindici anni, dopo il taglio della torta, i due coniugi baciarono i tre ragazzi, consegnarono a ognuno un assegno non trasferibile, scrissero a pennarello il numero di telefono dei nonni sulla tappezzeria dell'ingresso, e se la filarono all'inglese. Ora lavorano in un villaggio vacanze di Grenadine, dove Silvia trucca e depila le turiste, mentre Stefano si occupa della manutenzione degli impianti idraulici. Vivono in un bungalow con il tetto di foglie di palma, bevono daiquiri e margaritas, ballano tutte le sere sotto una tettoia decorata con festoni di lampadine e scopano, scopano moltissimo, non sempre insieme. Si sono fatti sterilizzare entrambi. Non telefonano mai a casa, e hanno cambiato le schede Sim dei loro telefonini.   

1 commento:

massimo tallone ha detto...

Mooolto belli, specialmente Mario e Benedetta. C'è qualcosa di Parise nel tono dei tuoi racconti.
Massimo