domenica 21 dicembre 2014

La casalinga felice con l'ossessione della verità: Una lettera dal passato di Max Simon Ehrilch

Non bisogna farsi ingannare da quella che sembra l'ennesima storia di un matrimonio: Una lettera dal passato di Max Simon Ehrlich (1909-1983), uscito nel 1955 e pubblicato in italiano da Frassinelli nel 2012, è un libro spiazzante. Vi si parla di individuo e società, di giustizia e affetti privati, famiglia e etica, e le parole sono americane (molto) ma i conflitti sono universali. Ambientato nei primi anni Cinquanta, inizia con un doppio prologo in cui vediamo due famiglie, una infelice e l'altra infelice, che senza saperlo contribuiscono allo sconquasso della famiglia protagonista impedendo alla lettera del titolo di arrivare al suo indirizzo. Dieci anni dopo, Martha e George, due ricchi borghesi che abitano in una bellissima casa nei sobborghi di New York e si amano appassionatamente, si preparano a festeggiare il matrimonio della figlia e la promozione a capitano del figlio quando il postino finalmente consegna una busta spiegazzata... E' indirizzata a George ma la legge Martha. Quello che viene a scoprire la sconvolge perché si tratta di un segreto del passato di George. Il suo mondo si sgretola sotto l'urto del sospetto, in un fatale crescendo che nemmeno i colpi di scena e il rovesciamento finale riescono a fermare. 
La narrazione è un po' prolissa e non fa stare con il cuore in gola né spinge a girare freneticamente le pagine (se non, magari, per affrettare un po' la lettura), ma cresce lentamente e fa molto pensare, il che di questi tempi di letteratura di genere escapista (malgrado l'aspetto "impegnato" nel thriller non c'è mai il tempo di riflettere sul contenzioso tranne in casi molto rari, vedi Ferdinand von Schirach), rosa o da pensiero unico (disgrazie, malattia, guerre in cui è fin troppo evidente che c'è una sola parte da cui stare), è un grandissimo merito. E lasciamo perdere se il personaggio di Martha, tutta calata nei ruoli femminili di moglie e madre, è un po' claustrofobico e fa venire i nervi, e se attraverso i suoi occhi povertà e miseria coincidono con bruttezza, squallore e pochezza dei poveri, sgradevoli e sporchi quindi cattivi. E' solo un personaggio, e poi sta in un romanzo americano degli anni Cinquanta, quelli delle casalinghe felici in grembiulino che aspettano i mariti commuters con un Martini in mano. Ciò che conta è il dilemma in cui si trova, che verte, più che sugli affetti, sulla verità: vedi l'episodio della sua infanzia di figlia di pastore luterano, in cui un furto di venti centesimi di dollaro è percepito come gravissimo non certo per l'entità ma perché frutto di una menzogna. E proprio l'impossibilità di perdonare la menzogna e la necessità di dire la verità costituiscono la terribile trappola in cui si impiglia la sua vita. Anche se tutti ripetono che la famiglia viene prima di tutto, che sono disposti a tutto per proteggerla, in realtà la famiglia è una gabbia, l'amore da solo non riesce a vincere la forza del caso e l'individuo non può che soccombere. Alla fine prevale un disperato pessimismo perché gli innocenti sono colpevoli, tutti sono colpevoli, chi per avere fatto chi per non saper dare.
Lo consiglio? Non so. Ha molti meriti, come ho già detto, in tempi in cui immagine e storie prevalgono sul pensiero e dio ci scampi sul dibattito (e io per prima tendo a leggere libri poco problematici), ma forse è un po' datato, consigliabile ai lettori forti curiosi e capaci di concedere al contesto quello che è del contesto.
Elegante traduzione di Maurizio Bartocci.         

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